Terremoti e macerie, come opera il soccorritore in fase USAR? Breve intervista a Nicola Bortoli
Nicola Bortoli è uno degli specialisti italiani di soccorso USAR. Su Emergency Live ha già pubblicato (in collaborazione con Daniele Pomiato) un interessante e molto ricercato report sull’attività di soccorso e ricerca in area urbana, apprezzato sia dai Vigili del Fuoco che dai professionisti sanitari. Medico chirurgo specializzato in anestesia e rianimazione è docente al corso di Area critica e terapia intensiva presso l’università degli studi di Padova, fa parte del Corpo Militare della Croce Rossa e del gruppo di lavoro sulle maxi-emergenze della FIMEUC, oltre che del gruppo di studio in area emergenza della SIAARTI. E’ stato fra i primi ad intervenire con i Vigili del Fuoco veneti ad Amatrice, grazie al tempestivo invio deciso dalla centrale operativa nazionale. Ora, a pochi giorni dalla missione con cui sono state salvate diverse vite – fra le quali quella della piccola Giorgia, emblema di speranza per tutta la popolazione colpita dalla tragedia – vogliamo affrontare con lui alcuni aspetti del soccorso in catastrofe e dell’USAR. Aspetti che Nicola ci spiega con esaustività e precisione.
C’è sempre una grandissima necessità di silenzio durante il terremoto per l’individuazione delle vittime. In questi casi come si comunica fra soccorritori?
Il nostro nucleo prevede che ogni operatore sia dotato di radio portatile. Esistono diverse maglie radio così da garantire flussi di comunicazione dedicati e, soprattutto, di poter parlare senza dover urlare. Va considerato però che nelle fasi di scavo (e durante la penetrazione in maceria) si rende necessario l’utilizzo di strumenti rumorosi come martello pneumatico, motoseghe o strumentario simile. Durante le prime ore, poi, sulla scena sono presenti molti volontari e soccorritori che non sono addestrati nelle operazioni USAR. Di conseguenza, quando si rende necessario fare silenzio, si utilizzano dei segnali acustici codificati che impongono il silenzio e, nel caso in cui non siano conosciuti da tutti, si richiede silenzio con una comunicazione vocale.
Nel momento in cui si arriva al ferito, quale protocollo e quali accorgimenti usate per fare un triage del paziente?
In generale noi usiamo il protocollo SIEVE. In maceria, quando il soccorso è limitato ad un singolo ferito, non facciamo triage ma eseguiamo una valutazione testa-piedi ed assegnamo un codice sanitario in base alla clinica riscontrata.
Elemento squadra: abbiamo visto che – nel caso di Giorgia – hanno partecipato più reparti di diversi Corpi (VVF-Polizia-CNSAS). Come sono state organizzate le squadre?
Ogni sito è affidato ad una squadra di soccorso. Da quel momento quella squadra diventa gestore del sito. In caso di necessità o disponibilità di personale aggiuntivo, il personale di altri enti si mette a disposizione del capo squadra che ha in gestione l’evento. Ad ogni modo l’integrazione e la collaborazione in questi scenari è massimale. L’obiettivo finale è il soccorso delle vittime.
Quali sono le tecnologie che vi sono state più d’aiuto in questa maxi-emergenza?
In questo scenario ruolo fondamentale è stato quello delle unità cinofile. Visto lo scenario negli scavi, soprattutto per i primi giorni, sono serviti strumenti semplici come badili e picconi o strumenti portatili ed a batterie o alimentabili con piccoli generatori portatili.
Dal nostro punto di vista oltre alle dotazioni di base, che devono essere compatte e trasportabili, abbiamo usato con soddisfazione l’accesso intraosseo e dove possibile barelle pieghevoli visto che l’accesso alle aree di lavoro era impossibile per i mezzi di soccorso.
PTSD: non è facile toccare questo tema ma molti soccorritori rischiano di soffrirne dopo un terremoto simile. Come lo affrontate e cosa suggerisci di fare ad altri soccorritori?
In questa situazione ho visto la presenza di un grande numero di psicologi e di gruppi di ascolto. Sicuramente la presenza di specialisti è utile ad affrontare la situazione. L’appartenenza ad un gruppo coeso come il nostro e la capacità di discutere dei vissuti già nell’immediato aiuta molto. Quando la squadra è unita riesce a parlare, discutere, confidarsi con più facilità. Credo sia questa una scelta vincente: pianificare l’intervento con gruppi di operatori che abbiano condiviso formazione, addestramenti ed operazioni di soccorso alla fine premia e garantisce un’intesa che difficilmente si riesce ad improvvisare.
Per quanto rigurda il de-briefing e ulteriori documenti, ringraziamo il dottor Bortoli per la disponibilità a fornirci ulteriore materiale in futuro. Siamo certi che i suoi contributi saranno di grande aiuto a tutta la comunità dei soccorritori.