Malaria, bufale, allarmi: Come si smaltiscono gli aghi in Italia? Si può trasmettere davvero la malaria tramite puntura?
Il caso della bambina deceduta in seguito a una forma gravissima di malaria, che ha avuto complicanze cerebrali, si sta arricchendo di ipotesi allarmanti e, molto spesso, palesemente false e indimostrabili. Tali notizie sembrano puntare il dito contro i professionisti sanitari, in particolare infermieri. Secondo l’ultimo annuncio pubblicato dai giornali, la bimba avrebbe contratto la malattia a causa di un ago per il controllo del diabete, infetto dal plasmodio. L’ipotesi sottende la grave (anzi, gravissima) ipotesi che un professionista infermieristico avrebbe replicato i controlli del diabete o la somministrazione di insulina con gli stessi aghi pungidito, per più pazienti del reparto di pediatria. O, ancora peggio, avrebbe somministrato farmaci con la stessa siringa a più pazienti. Questa ipotesi prevede la violazione di un provvedimento legislativo, il DM 28-09-1990 (in vigore quindi da 27 anni) che norma la gestione degli aghi e dei rifiuti sanitari in tutti gli ospedali italiani, sia pubblici che privati.
Da 27 anni in Italia è tassativamente vietato il riuso degli aghi delle siringhe (nel resto del mondo ci sta pensando il WHO). Non è chiaro quale aspetto di questa storia abbia convinto molti giornali a credere a una affermazione così assurda. Il plasmodio – parassita protozoo responsabile della malaria – si trasmette da sangue a sangue in caso di una importante trasfusione di materiale ematico, non tramite la quantità contenuta in un eventuale pungidito per la rilevazione del diabete. Inoltre questo parassita è piuttosto grande, ed ha necessità di avere una concentrazione nel sangue piuttosto elevata per diventare infettante. La sopravvivenza di questo essere è collegata al ciclo vitale di chi trasmette (zanzara) e di chi riceve (malato). Esistono delle ipotesi? Si.
La fonte: un’ipotesi fatta nel 1992 (mai comprovata)
L’ipotesi della trasmissione della malaria e del plasmodio tramite ago in una serie non protetta di iniezioni è stata fatta da alcuni studiosi (clicca qui) e c’è un ipotetico collegamento. Nel 1992 in Arabia Saudita una epidemia di Plasmodium Falciparum, il parassita che causa la malaria, è accaduta in un ospedale pediatrico. L’investigazione sulla diffusione del parassita ha collegato in via ipotetica la trasmissione del plasmodio con le punture di eparina fatte all’interno del reparto. I professionisti sanitari – in Arabia Saudita, nel 1992 – hanno detto che abitualmente usavano una sola siringa per più pazienti. Questa epidemia è avvenuta in un’area dell’ospedale dove si trovavano pazienti non malarici e i pazienti vi si sono recati per motivi non relazionabili uno all’altro.
Gli ultimi studi sulla trasmissione di malaria in aree non endemiche, sono invece molto più specifici e riducono le probabilità di un contagio tramite ago a percentuali microscopiche. La contaminazione da malaria “indotta” è correlata primariamente al vettore endemico, cioè la zanzara, sia essa importata o locale. Questo è il vettore di trasmissione più importante – secodo gli studi – per il 98% dei contagi in africa. Seguono, nel restante 2%, trasfusioni di sangue, donazione organi e infine, casi di contagio dovuti all’uso di aghi per somministrazione multipla di farmaci (FONTE).
Perché l’ipotesi ago è la meno plausibile?
Il principale motivo per cui il contagio ago paziente è praticamente impossibile è il rispetto basilare di una normativa che qualunque professionista sanitario italiano conosce. Ovvero il DM 28/09/90 che è una delle basi di comportamento di qualsiasi operatore sanitario. Questo DM introduce l’uso del contenitore per rifiuti taglienti ed è una “Precauzione Universale”.
Fra le precauzioni universali troviamo le norme comportamentali che tutti gli operatori sanitari devono, routinariamente, seguire per ridurre le esposizioni percutanee: punture con ago o tagli con presidi contaminati da sangue o dagli altri liquidi/materiali biologici considerati a rischio:
1. il tagliente (aghi, mandrini, bisturi, rasoi monouso, lamette, fiale rotte, ecc) dopo l’uso, deve essere immediatamente eliminato nell’apposito contenitore in plastica rigida;
2. gli aghi non devono essere reincappucciati, piegati o rotti, rimossi dalle siringhe monouso o altrimenti manipolati;
3. i taglienti riutilizzabili (ferri chirurgici, forbici, ecc…) devono essere subito dopo l’uso decontaminati, poi lavati e infine disinfettati o sterilizzati. Ogni ospedale ha un protocollo operativo interno “STERILIZZAZIONE DEI PRESIDI SANITARI”. L’eliminazione dei rifiuti taglienti in sicurezza deve prevedere:
- la presenza dell’apposito contenitore per lo smaltimento dei rifiuti taglienti, in ogni postazione di lavoro in cui è prevedibile la produzione di tali rifiuti;
- che l’apposito contenitore per l’eliminazione, sia posizionato nel raggio d’azione delle braccia dell’operatore in modo che l’operatore non deve appoggiare, neppure momentaneamente, il tagliente sul letto (o sul comodino o nel vassoio), e poi riprendere in mano il presidio per eliminarlo;
- che l’operatore veda con chiarezza la finestra d’eliminazione, presente sul coperchio del contenitore;
- che non ci non siano ostacoli tra la postazione di lavoro e il contenitore stesso;
- che il contenitore mantenga la posizione verticale;
- che sia presente il contenitore di adeguato volume, facilmente determinabile, per ciascun posto di produzione di rifiuti taglienti, in base alla grandezza e/o alla quantità dei taglienti da eliminare in esso;
- che il contenitore per rifiuti taglienti non sia riempito fino al suo margine superiore, ma per 2/3 del proprio volume.
Inoltre si ricorda che ogni volta che si manipolano strumenti acuminati e/o taglienti:
- di utilizzare guanti appropriati al tipo di rischio e all’attività svolta, in particolare vanno indossati guanti: pluriuso spessi e/o guanti antitaglio quando si manipolano ferri chirurgici o da medicazione (esempio: durante la loro raccolta, disinfezione, pulizia ,ecc…; guanti pluriuso antitaglio durante alcune procedure veterinarie in cui sono utilizzati coltelli o altri presidi taglienti; di utilizzare lo strumento conformemente alla sua destinazione d’uso attenendosi alle istruzioni fornite dalla ditta fornitrice; di porre la massima attenzione durante ogni operazione che comporti l’uso di tali strumenti, con particolare riguardo agli interventi svolti in regime d’urgenza; nel caso di utilizzo di presidi con paziente in stato di agitazione, di richiedere l’aiuto di un collega; di non indirizzare mai la punta di aghi e bisturi verso parti del corpo; di cercare di non passare i taglienti di mano in mano; se la manovra è necessaria, lo strumento deve essere passato con la dovuta cautela; di non raccogliere strumenti appuntiti o taglienti se stanno cadendo; di non raccogliere gli aghi caduti a terra con le mani: utilizzare apposite pinze.
Rimane quindi da capire se la Procura di Trento e i NAS vorranno indagare quella che sembra – agli occhi dei sanitari – la pista più probabile. Un ritorno della zanzara endemica in aree del nord Italia dove si pensava fosse stata eradicata. Esistono infatti in Italia alcune specie di zanzara capaci di trasporare la malaria in Sicilia, in Lazio e in Sardegna. Si tratta delle zanzare di genere Anopheles e del genere maculipennis. Queste zanzare sono in grado di trasmettere la malaria, così come il genere labranchiae, zanzara antropofila (si posa sugli uomini) e responsabile degli ultimi focolai autoctoni di malaria.