Epatite A
Definizione
L’epatite A è una malattia altamente contagiosa che interessa il fegato; ne è responsabile un piccolo RNA virus, chiamato HAV (o virus dell’epatite A), che si trasmette attraverso il consumo di alimenti e bevande contaminate o tramite il contatto diretto con persone infette. Fortunatamente, l’epatite A non è così pericolosa come le altre forme di epatite, ma, raramente, può complicarsi nella temibile epatite fulminante; per questo motivo, è bene non sottovalutarla ed adottare tutte le norme necessarie a prevenirla, prima fra tutte la vaccinazione delle persone a rischio. I sintomi sono talvolta assenti ed in genere lievi, caratterizzati da febbre e senso di malessere generale; talvolta è presente ittero. Il virus dell’epatite A si replica nel fegato e viene eliminato all’esterno tramite le feci. Per questo motivo, la prevenzione dell’epatite A si basa sull’adozione delle norme igieniche fondamentali, come il lavarsi spesso le mani, pulire gli alimenti e cuocerli generosamente prima del consumo. Per le persone più esposte, come quelle che si recano in vacanza nei Paesi a rischio, è comunque consigliata l’immunizzazione attiva o passiva. In presenza di un’infezione lieve, la malattia si risolve spontaneamente anche in assenza di trattamento medico.
Cause e contagiosità
Il virus dell’epatite A si trasmette generalmente per via oro-fecale, vale a dire attraverso il consumo di acqua ed alimenti contaminati da feci infette. E’ quindi sufficiente che una persona portatrice del virus manipoli del cibo, senza essersi accuratamente lavata le mani dopo un soggiorno alla toilette, per trasformarlo in un pericoloso veicolo di infezione. Allo stesso modo, in assenza di un adeguato sistema fognario, il virus evacuato con le feci può contaminare le falde acquifere, favorendo la trasmissione dell’epatite A sia per via diretta (bere l’acqua contaminata), sia per via indiretta (mangiare le verdure irrigate con essa e i frutti di mare che popolano le acque prossime allo sbocco della falda o, specialmente nei bambini, portare alla bocca oggetti contaminati, come giocattoli, termometri, posate ecc.). Il virus dell’epatite A è abbastanza resistente alle alte temperature, ma muore dopo una bollitura di 5-10 minuti. Per questo motivo il rischio di infezione è elevato in presenza di condizioni igieniche carenti ed in assenza di un’adeguata cottura degli alimenti. Abbastanza diffusa risulta la trasmissione dell’epatite A tramite rapporti sessuali di natura proctogenitale od ano-linguale, nonché attraverso la condivisione di materiale già usato per iniettarsi droghe, compresi gli steroidi anabolizzanti. Difficile, ma pur sempre possibile, la trasmissione per via parenterale (ad esempio ricevendo trasfusioni di sangue o di prodotti ematici). L’infettività è massima nel periodo compreso tra le due settimane che precedono l’esordio della malattia ed i 7 giorni che lo seguono. In questo periodo, il virus si concentra nelle feci, ma si riscontra, in minime quantità, anche nel sangue e nella saliva. Di conseguenza, l’epatite A è contagiosa già nella fase di incubazione, ancor prima che compaiano i sintomi ad essa riconducibili.
Sintomi
Il virus dell’epatite A, comune in condizioni igieniche carenti, ha un periodo di incubazione che va dai 6 ai 50 giorni (in genere 30), al termine dei quali il paziente può accusare febbre e malessere. Alcune persone, comunque, possono non sviluppare alcun segno o sintomo. Nei bambini, in particolar modo, l’evoluzione è generalmente favorevole, mentre nei ragazzi e negli adulti può causare manifestazioni più importanti. I sintomi insorgono spesso in maniera brusca, tanto che il malato può confonderli con quelli tipici di una gastroenterite (influenza intestinale) e guarire spontaneamente senza venire a conoscenza delle sue reali condizioni di salute. I sintomi più comuni si riferiscono a: stanchezza, nausea e vomito, diarrea, dolori muscolari ed addominali, localizzati soprattutto nell’area epatica (lato destro del corpo al di sotto delle ultime coste), perdita di appetito, colorazione scura delle urine, febbre leggera e prurito. Dopo circa una settimana la pelle e la parte bianca degli occhi possono assumere un colorito giallastro (ittero), che talvolta persiste sino a tre settimane. Le complicazioni gravi dell’epatite A sono estremamente rare, tanto che la maggior parte delle persone colpite va in contro ad una spontanea remissione dei sintomi entro uno o due mesi; più raramente, la malattia può causare recidive che ne prolungano i tempi di guarigione oltre i sei mesi.
Fattori di rischio
L’epatite A è più comune tra le persone che:
- lavorano o viaggiano in Paesi dove la malattia è molto diffusa;
- hanno rapporti sessuali non protetti di natura proctogenitale od ano-linguale;
- si sono iniettate droghe o hanno condiviso la siringa assieme ad altri;
- utilizzano droghe non iniettabili;
- contraggono rapporti stretti con individui infetti;
- consumano di frutti di mare crudi o non sufficientemente cotti.
Nei Paesi industrializzati, come il nostro, i miglioramenti igienico-sanitari hanno notevolmente ridotto l’incidenza dell’epatite A, ma la prevenzione primaria rimane comunque importantissima.
Diagnosi e complicanze
L’infezione da epatite A può essere facilmente smascherata da un semplice esame del sangue, anche in assenza di sintomi. Dopo il prelievo, si valuta la concentrazione plasmatica di bilirubina e transaminasi (che salgono in presenza di un danno epatico, indipendentemente che sia stato indotto o meno dall’HVA). Per ottenere un dato significativo è necessario ricercare nel campione ematico anticorpi specifici contro l’epatite A. Dal momento che questi appaiono nel sangue solamente dopo settimane o addirittura mesi dal contagio, eseguire il monitoraggio delle immunoglobuline anti HAV in epoca precoce comporta un alto numero di falsi negativi (persone che, pur essendo ammalate, appaiano sane alla luce dei risultati forniti dal test). Allo stesso modo, non è da sottovalutare il rischio di falsi positivi, dal momento che gli anticorpi continuano ad essere presenti nel sangue anche quando l’infezione si è risolta. Per questo motivo, la diagnosi si basa soprattutto sulla ricerca di anticorpi IgM anti-HAV, che compaiono precocemente e scompaiono con altrettanta rapidità dopo pochi mesi; gli anticorpi IgG anti-HAV, invece, compaiono durante la fase di convalescenza e permangono per tutta la vita. Di conseguenza, gli anticorpi IgM rappresentano un marker di infezione acuta, mentre gli IgG testimoniano una pregressa esposizione al virus dell’epatite A e l’immunità nei suoi confronti. In linea di massima, la gravità della malattia è direttamente proporzionale all’età del soggetto infetto. Fortunatamente, l’infezione è generalmente autolimitante, nel senso che il fegato guarisce completamente, di solito nel giro di uno o due mesi, senza subire danni permanenti. Gli anziani e le persone che soffrono di malattie debilitanti, come anemia, diabete o problemi cardiaci, sono più esposti a ricadute e necessitano di un tempo superiore per guarire. La complicanza più grave dell’epatite A, anche se estremamente rara, è l’epatite fulminante. Si tratta di una condizione molto grave, che causa insufficienza epatica e può mettere a serio rischio la sopravvivenza stessa del paziente. Il rischio è maggiore per le persone con un fegato già sofferente a causa di determinate patologie o dell’abuso di alcol o di determinati farmaci.
Cura
Per l’epatite A la miglior cura è la prevenzione. Non è infatti disponibile una cura specifica contro l’HAV, se non la precoce somministrazione di gammaglobuline standard (anticorpi) entro 7-14 giorni dal contagio. Di conseguenza, se i sintomi sono già comparsi, questa strada non è più percorribile e ci si limita a monitorare la progressione della malattia, che, nella stragrande maggioranza dei casi, regredisce spontaneamente. Per non stressare ulteriormente un fegato già provato dall’infezione, il paziente viene spesso invitato a seguire alcune semplici norme dietetiche. Innanzitutto, l’ammontare calorico quotidiano viene suddiviso in tanti piccoli spuntini. Contemporaneamente, andrà ridotto il consumo di alimenti troppo grassi, specie se fritti o bruciacchiati, a favore di pietanze facilmente digeribili, come brodo, zuppe, yogurt, frutta e verdure. Imperativo è l’allontanamento dell’alcol, almeno sino alla completa remissione dei sintomi. In presenza di epatite A è importante comunicare al medico tutti i medicinali che si stanno assumendo, compresi i prodotti da banco per il mal di testa o i dolori mestruali. Alcuni di questi, infatti, possono produrre metaboliti tossici per il fegato. Integratori specifici, come gli estratti di carciofo, il cardo mariano e la silimarina, forniscono un aiuto importante, grazie alla loro capacità di depurare il fegato dalle tossine e migliorarne la funzionalità. Il loro utilizzo in presenza di epatite A deve comunque avvenire sotto la supervisione medica, dal momento che, un po’ come tutti i prodotti fitoterapici, sono controindicati in presenza di determinate malattie e potrebbero interagire con alcuni farmaci prescritti al paziente. Se la malattia si complica in epatite fulminante è richiesto il ricovero medico, necessario per fronteggiare tempestivamente eventuali emergenze e fornire al paziente trattamenti dietetici e farmacologici particolari. I casi più complicati possono richiedere il trapianto di fegato, nel tentativo disperato di salvare la vita al paziente.
Vaccinazione e prevenzione
La profilassi dell’epatite A si basa, oltre che sul rispetto di determinate norme igieniche e comportamentali, sulla vaccinazione e sull’immunizzazione passiva tramite gammaglobuline standard (anticorpi). Quest’ultimo trattamento è efficace nel produrre una immunità a breve termine (circa tre mesi), mentre il vaccino antiepatite-A offre una protezione duratura (10-20 anni o più). Oltre a regalare un’immunità di lunga durata, il siero antiepatite-A si dimostra particolarmente efficace, tanto da coprire quasi il 100% dei vaccinati. Il vaccino, iniettato per via intramuscolare, solitamente nella regione deltoidea, necessita di un richiamo a distanza di 6 o 12 mesi. Gli effetti collaterali sono scarsi e per lo più locali: dolore nel sito di iniezione, raramente cefalea, malessere, nausea ed inappetenza. La vaccinazione è indicata per tossicodipendenti, omosessuali attivi, viaggiatori che si recano in regioni a rischio, pazienti affetti da epatiti croniche virali e soggetti portatori di malattie croniche del fegato o che richiedono trasfusioni (emofilia). Rispetto al vaccino, le immunoglobuline vengono preferite quando è richiesta una rapida immunizzazione. Il vaccino, infatti, richiede dalle due alle quattro settimane per fornire la protezione desiderata, mentre le immunoglobuline sono attive sin da subito, con una copertura dell’85% (contro il 97% della vaccinazione). Gli stessi anticorpi possono essere utilizzati per prevenire o attenuare la malattia nel soggetto sano che sia venuto a contatto con il virus; in questo caso, però, il trattamento deve essere intrapreso tempestivamente, entro le due settimane dal contagio. Le immunoglobuline vengono spesso somministrate anche alle persone che vivono nello stesso domicilio dei soggetti con epatite accertata; il loro utilizzo non è controindicato in gravidanza ed allattamento. Mentre il vaccino protegge il soggetto dall’epatite A per almeno un decennio, l’effetto delle immunoglobuline esogene si esaurisce nell’arco di 3-6 mesi. Da notare, infine, che le persone guarite da una precedente infezione da epatite A, hanno nel loro sangue un corredo di anticorpi che le proteggerà dalla malattia per il resto della vita. E’ bene ricordare, inoltre, che i vaccini antiepatite-A, così come l’immunità acquisita dopo aver superato la malattia, non possono nulla contro altre forme di epatite (B, C, D, E, G). Al di là della preventiva vaccinazione od immunizzazione passiva, il viaggiatore che si reca in Paesi ad alto rischio dovrebbe rispettare alcune semplici regole, come il fatto di risciacquare abbondantemente la verdura e la frutta, e sbucciare quest’ultima prima del consumo. Molto importante, inoltre, il fatto di mangiare carne e pesce (in modo particolare i molluschi) soltanto dopo una generosa cottura. Un altro importante veicolo di infezione dell’epatite A è l’acqua; quella prelevata dal rubinetto o da sorgenti comuni dovrebbe sempre essere bollita per almeno 5-10 minuti, mentre quella in bottiglia può essere consumata con maggiore tranquillità, a patto che venga stappata sotto i propri occhi. Attenzione anche ai cubetti di ghiaccio, che non andrebbero mai consumati direttamente od aggiunti alle bevande, e all’acqua utilizzata per lavarsi i denti: anch’essa dovrebbe essere sicura, quindi di bottiglia. Allo stesso modo, quando si fa il bagno in fiumi e mari è bene prestare attenzione che non entri dell’acqua in bocca. La prevenzione individuale dell’epatite A si completa con le comuni norme di igiene personale, come l’accurato e frequente lavaggio delle mani, in particolar modo dopo essere stati alla toilette e prima di manipolare gli alimenti. Oggetti come spazzolini, posate, bicchieri ed asciugamani dovrebbero essere ad utilizzo strettamente personale. Le innumerevoli, possibili, vie di contagio fino a qui descritte ribadiscono l’importanza dell’immunizzazione attiva (vaccino) o passiva (gammaglobuline) prima della partenza, per viaggio o per lavoro, nelle zone a rischio. La prevenzione generale dell’epatite A, molto efficace nei Paesi industrializzati, si attua dotando le abitazioni di un’adeguata rete fognaria e di un efficace sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti; il tutto con lo scopo di evitare la contaminazione delle falde acquifere. Attenzione, pertanto, quando ci si reca in Paesi o regioni in cui i rifiuti si accatastano lungo le strade anziché in apposite discariche.