Epatite C
Definizione
L’epatite C (dal greco “hepato”, fegato, e “itis” infiammazione) è un’infiammazione del fegato causata da un virus denominato HCV. L’HCV attacca preferenzialmente il fegato, attraverso l’attivazione del sistema immunitario dell’ospite, provocando danni strutturale e funzionali anche molto gravi. Nello specifico l’infezione causa la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica), che vengono sostituite da un nuovo tessuto di riparazione-cicatrizzazione, cosi da determinare il processo di fibrosi epatica. A lungo andare questo tessuto di cicatrizzazione sostituisce tutta o quasi la componente sana del fegato, da cui deriva una grave compromissione delle sue attività evolvendo come ultimo stadio alla cirrosiepatica.
Sintomi e diagnosi
Una volta penetrato nel fegato il virus causa una epatite acuta che però, nella maggior parte dei casi, è asintomatica. Ciò fa sì che la malattia possa divenire cronica (nell’80% dei casi) senza che il paziente se ne accorga, né possa quindi curarla precocemente. Generalmente i danneggiamenti al fegato non si presentano se non dopo 10-30 anni dall’infezione. Alcuni dei sintomi possono essere affaticamento, perdita di appetito, nausea, debolezza, lievi dolori addominali. Il test di screening per individuare gli individui ammalati è la ricerca degli anticorpi (generalmente con metodica immunoenzimatica, EIA) contro il virus, in sigla HCV Ab che sta per Hepatitis C Virus Antibody, in italiano “anticorpo dell’epatite C”. Quando è presente significa che il paziente è stato infettato dal virus dell’Epatite C, ma non è in grado di stabilire quando è avvenuto il contagio, né se l’infezione è ancora in atto. Infatti il test rimane positivo per tutta la vita anche nelle persone guarite, sia spontaneamente che con le cure. Per questo motivo è necessaria una diagnosi più specifica, come la ricerca dell’RNA del virus HCV tramite reazione a catena della polimerasi (PCR). Tale metodica conferma o meno la presenza del virus nel sangue e quindi la presenza o meno della malattia cronica; è indicata in special modo nei soggetti positivi al test di screening per discriminare appunto la malattia attiva o l’avvenuta guarigione e in quelli che devono affrontare una terapia per monitorare la risposta: la negativizzazione di questo test fa capire che la cura è efficace.
Trasmissione
La fonte di infezione è costituita da soggetti affetti da malattia acuta, ma soprattutto da malattia cronica. Questi spesso non sanno di essere ammalati e possono, inconsapevolmente, trasmettere l’infezione. Le modalità di trasmissione dell’infezione sono soprattutto le seguenti:
- Via Parenterale: il virus penetra attraverso punture con aghi o strumenti infetti (tossicodipendenti, infermieri, etc) o somministrazione di sangue o emoderivati infetti (prima degli anni Novanta);
- Via Parenterale Inapparente: il virus penetra attraverso microlesioni difficilmente visibili della cute o delle mucose (spazzolini da denti, lesioni da malattie cutanee, etc.);
- Via Sessuale: il virus C, sebbene con frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell’epatite B e/o dell’HIV, si trasmette per via sessuale. La trasmissione per via sessuale avviene solo se durante l’atto vi è scambio di sangue. Non sono infettanti né lo sperma né la saliva, né le secrezioni vaginali. Il rischio è più basso nei partner sia eterosessuali sia omosessuali monogami rispetto ai soggetti con numerosi partner sessuali. La coinfezione HIV – HCV aumenta il rischio di trasmissione sessuale di HCV. Altri fattori potenzialmente in grado di aumentare il rischio di infezione sono: la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili, rapporti sessuali traumatizzanti e mancato uso del preservativo. Il rischio di infezione appare più frequente nelle donne partner di pazienti infetti che negli uomini partner di donne infette.
- Via materno–fetale: dai numerosi studi effettuati si può stimare che il rischio di infezione sia inferiore al 5%. Può aumentare solo in certi casi, ad esempio se la madre è tossicodipendente attiva o affetta anche da infezione da HIV. Non è mai stata dimostrata l’utilità del taglio cesareo elettivo (cioè eseguito prima della rottura delle membrane) per ridurre tale rischio. Anche l’allattamento al seno è permesso.
Cura
La terapia ad oggi universalmente riconosciuta come la più efficace per l’epatite virale cronica da virus C è costituita dall’associazione di interferone alfa peghilato con la ribavirina per un periodo che va dalle 24 alle 48 settimane. Secondo recenti studi anche l’epatite acuta può essere curata nel 90% dei pazienti se si inizia la terapia entro 12-24 settimane dall’inizio dei sintomi (quindi prima che diventi cronica) con una terapia di interferone pegilato. Anche nelle forme già croniche (la maggioranza che vengono all’osservazione del medico) è importante curarsi presto, prima dei 45 anni di età e prima che il fegato sia divenuto cirrotico; così si ha la migliore possibilità di guarigione. La terapia non richiede ricovero ospedaliero ma viene gestita a casa propria, eseguendo solo controlli mensili degli esami del sangue. È importante smettere di bere alcolici: è noto che l’alcol favorisce la progressione in cirrosi dell’infezione e rende il trattamento con interferone molto meno efficace. In particolari gruppi di soggetti, tossicodipendenti o alcolisti, la progressione della malattia avviene più rapidamente. Nell’infezione da HIV, sia per effetto primario di HIV, sia per le alterazioni del sistema immunitario, sia per il sovraccarico epatico dovuto a particolari tipologie di farmaci usati nella terapia di questa infezione, l’epatite cronica da HCV ha una evoluzione molto più rapida verso gli stadi più avanzati (fibrosi, cirrosi) rappresentando un quadro clinico di particolare importanza e di notevole impegno clinico.