Tifo
Definizione
Il tifo una malattia infettiva acuta causata da un batterio. La malattia, dopo un periodo di incubazione che varia da 3 a 90 giorni, può manifestarsi con febbre elevata, cefalea, malessere, tosse e stitichezza (più frequente rispetto alla diarrea). L’infezione può essere anche asintomatica o manifestarsi con sintomi modesti. La malattia evolve di solito verso la guarigione dopo appropriata terapia antibiotica. La trasmissione avviene prevalentemente attraverso acqua e cibi contaminati da feci o urine di pazienti e di portatori, mosche o mani sporche. Nei Paesi dove la malattia è frequente, gli alimenti a maggior rischio sono: acqua, frutta, verdura e frutti di mare, se consumati crudi, il latte ed i prodotti derivati dal latte consumati crudi o contaminati dopo la bollitura. Il tifo è una malattia che, a seconda del tipo di microorganismo da cui è provocato, si distingue in:
- Tifo, provocato dalla Salmonella typhi (tifo addominale o febbre tifoide);
- Tifo esantematico, malattia provocata dalla Rickettsia prowazekii (tifo epidemico o esantematico o petecchiale);
- Tifo endemico, provocato dalla Rickettsia typhi (tifo endemico o murino).
Il tifo addominale o febbre tifoide
E’ una malattia infettiva sistemica, febbrile, a trasmissione oro-fecale provocata da un batterio del genere Salmonella, detto anche bacillo di Eberth o di Gaffky.
Sintomi
Si manifesta con un quadro clinico che viene diviso in settenari con dolori addominali, febbre e ipotensione arteriosa, e possibili compromissioni del sistema sensorio, è quindi consigliabile recarsi nell’ospedale più vicino. Caratteristico è l’andamento della febbre: nella prima settimana si ha un innalzamento a temperature elevate con profilo a sega, nella seconda settimana si stabilizza attorno ai 39/40 gradi per poi ridiscendere la terza settimana.
Prognosi e terapia
Al giorno d’oggi l’adeguata terapia antibiotica e di supporto hanno ridotto drasticamente mortalità e morbidità; l’antibiotico di scelta rimane la ciprofloxacina, risultato in diversi trial superiore al cloramfenicolo, al cotrimoxazolo e all’ampicillina. Nei bambini l’impiego della ciprofloxacina è giustificato solo nelle forme multifarmacoresistenti. Qualora si presenti resistenza è possibile utilizzare ceftriaxone e cefixima ma anche cefepima. Nei bambini è consigliata una dose di 20 mg/kg di azitromicina il primo giorno di terapia, per poi continuare per 6 giorni con 10 mg/kg. Inoltre deve essere sempre instaurata una terapia di supporto idrico (soluzione glucosata o salina) per trattare la disidratazione; l’acido acetilsalicilico (solo adulti) e il paracetamolo (adulti e bambini) possono essere usati con estrema cautela per diminuire la febbre. Nelle manifestazioni gravi di malattia con coinvolgimento del sistema nervoso centrale (delirio, coma) può essere opportuno l’impiego di corticosteroidi quali il desametasone.
Il tifo esantematico
E’conosciuto anche con i nomi di tifo epidemico, tifo petecchiale, dermotifo, tifo dei pidocchi e tifo europeo. Si tratta di una malattia infettiva presente in luoghi con gravi deficienze sanitarie ed è responsabile di epidemie laddove alle scarse condizioni igieniche si assommano guerre, disastri naturali o carestie. Il tifo è stato debellato con un vaccino messo a punto da Salk in America nel 1955, poi diffusosi su larga scala. Anche la scoperta di una terapia antitifo per le varie specie è posteriore alla seconda guerra mondiale. Il germe responsabile è la Rickettsia prowazekii, trasmesso dal pidocchio Pediculus humanus corporis. Non esiste trasmissibilità animale per cui la malattia è contagiosa solo da uomo a uomo. Una volta che il pidocchio ha succhiato il sangue di un individuo infetto, il bacillo passa dallo stomaco alle feci dell’insetto, se questi le deposita su di un individuo sano la Rickettsia prowazekii è in grado di contagiare attraverso lesioni o micro-lesioni della cute che inoculano nella pelle le feci dell’insetto e il germe dell’infezione. I sintomi sono mal di testa, febbre alta, brividi ed eruzioni cutanee. Questa forma di tifo è presente nei paesi a clima temperato (un tempo anche in Europa) e le epidemie sono chiamate con diversi nomi: febbre delle prigioni, febbre da carestia o febbre degli ospedali perché si diffonde principalmente ove esistono cattive condizioni sanitarie ed affollamento.
Il tifo murino
Dal latino mus, muris, topo; e una forma di tifo esantematico trasmesso dalle pulci dei ratti. Il tifo murino, a differenza della febbre tifoide (tifo addominale), è provocato dal batterio Rickettsia typhi e si sviluppa in aree tropicali e subtropicali. Nei paesi tropicali viene spesso confuso con la dengue. Si trasmette attraverso la pulce del ratto (da qui il nome murino), la Xenopsylla cheopis, o più raramente attraverso la Ctenocephalides felis, pulce che parassita gatti ed opossum.
Sintomi
I sintomi sono, tra gli altri: mal di testa, febbre (per periodi di permanenza di oltre 2 settimane), brividi, dolore alle articolazioni, nausea, vomito e tosse, dolori addominali, mal di schiena.
Diagnosi
Una diagnosi precisa è possibile mediante un test sierologico, e un esame completo del sangue, il quale può rivelare la presenza di anemia e un basso livello di piastrine. Ulteriori esami approfonditi del sangue possono rivelare la presenza di una alte concentrazioni di anticorpi, un basso livello di albumina e di sodio.
Trattamento
La patologia viene normalmente trattata con l’uso di antibiotici come la Doxiciclina, la Tetraciclina e il Cloramfenicolo. L’uso della Tetraciclina può provocare macchie sui denti in via di sviluppo, ed è quindi sconsigliato nella terapia infantile. Se non viene curata in maniera appropriata questa malattia porta al decesso che va dal 10% al 60% dei casi, con un innalzamento delle probabilità di morte nei pazienti al di sopra dei 60 anni.
Diffusione
Nonostante la malattia sia stata debellata in gran parte del mondo a partire dagli anni cinquanta, essa è tuttavia ricomparsa in alcune regioni quali le isole Canarie, il Texas ed il Giappone in maniera sporadica, ma in modo più subdolo all’interno delle grandi concentrazioni urbane nelle aree più degradate, dove è più diffusa la presenza dei comuni ratti.