CROCE D'ORO SAMPIERDARENA - L'ambulanza dalla doppia vita
Autore: Alberto Di Grazia
In collaborazione con: Croce D’Oro Sampierdarena
Domenica 24 Settembre 2017: la giornata sembrava promettere – meteorologicamente parlando – poco di buono ed invece ha regalato alla Croce d’Oro di Sampierdarena quel sole che era un supporto importante per la perfetta riuscita della manifestazione: per l’occasione, c’erano ben 4 buoni motivi per festeggiare insieme. Partiamo dal primo, frutto di un lavoro di anni che ha visto la sua conclusione per l’appunto il 24 Settembre: certi amori – come cantava Antonello Venditti – fanno dei giri strani e poi ritornano. Ecco, è proprio questo il caso della piccola ambulanza su base Fiat 900T, del 1979, della Croce d’Oro Sampierdarena. O forse è meglio dire, del rapporto fra “lei” e la sua Associazione. Una autolettiga dalla doppia vita: due volte inaugurata, due volte in servizio, due volte radiata ed infine salvata due volte. Eh già, perché alcune macchine sono davvero fortunate. Sopravvivono, così, semplicemente; alcune per scelta ponderata del proprietario, altre invece quasi per caso, per una serie di fortunate coincidenze, ma senza una ragione precisa. Sopravvivono e basta.
Esattamente come in questo caso. Il “nostro” 900T è uscito nel 1979 dalle officine Fissore di C.so Torino a Savigliano (CN) con destinazione Sampierdarena, ed è stato inaugurato solennemente, come sempre accade, nell’inverno di quello stesso anno; nell’occasione, era stata dedicata alla memoria della Sig.ra Adele Semino. Il giorno della inaugurazione come al solito c’era gente, tanta gente, a riempire gli spazi di Via della Cella. Numerose ovviamente le Consorelle intervenute, omaggiate dalle rituali “sbandierate” , tipiche delle inaugurazioni liguri.
Una piccola, grande ambulanza, a cui Fissore aveva rialzato il tetto per dare più spazio al paziente ed ai volontari ed anche per consentire – almeno in linea di principio – qualche manovra salvavita.
A vederla da fuori, con quel tetto riportato, sembrava potesse rivaleggiare in altezza con i 238 bassi. Questi ultimi erano però totalmente sfruttabili, mentre nel 900T a creare qualche problema di spazio c’era soprattutto il motore, piazzato esattamente in fondo al vano lettiga: e lì sopra hai voglia di alzare il tetto, è il pavimento ad essere troppo alto per poterci lavorare davvero. Vero è che le manovre è più probabile doverle fare sulla parte opposta, e lì quel margine di altezza in più tornava pure abbastanza comodo, non foss’altro che una flebo almeno poteva stare davvero più in alto del trasportato; di certo però al poco spazio operativo dava una generosa mano anche la ridotta larghezza del corpo vettura. Ma a Genova il 900, come prima l’850 e la 600 Multipla nelle varie versioni, e come dopo i vari Piaggio Porter, Suzuky e Subaru non era – come non lo è oggi – un vezzo ma una necessità, e vedremo poi il perché.
Per quanto riguarda i dispositivi ottici di emergenza, la “nostra” era uscita dalla linea di produzione con tre girofari, due davanti ed uno posteriore. Un’anomalia rispetto alla disposizione “classica” ( Fissore infatti, ma come lui tutti gli altri, in genere montava un solo lampeggiante al centro del tetto, almeno su macchine piccole e sulle derivate da familiari), ma garantiva una miglior visibilità della macchina nel traffico. Questa disposizione è divenuta poi a sua volta la norma, o quasi, ma una quarantina di anni fa non erano molte le ambulanze così equipaggiate. Tra le particolarità, va segnalata anche la presenza del brandeggiabile: un accessorio inconsueto già di per sé, ma ancor di più se si nota il fatto che si tratta di un faro come quelli montati sulle coeve gazzelle dei Carabinieri: per meglio dire, non “come quelli” ma “uno di quelli” visto che aveva come provenienza proprio una Giulia dell’Arma. Anche l’utilizzo di questo dispositivo, oggi irrinunciabile ed ormai integrato in calotte e carenature di design ma ai tempi una vera rarità, facilitava il compito nella lettura dei numeri civici dei palazzi, di notte, ed illuminava all’occorrenza la scena del soccorso. La Croce d’Oro di Sampierdarena aveva già sperimentato questa soluzione ( come del resto, anche quella dei tre lampeggiatori) su diversi 238 precedenti, con risultati soddisfacenti.
La macchina aveva anche una banda rosso arancio anteriore, sopra la mascherina, che non proseguiva tutta intorno alle fiancate, come ci si sarebbe potuto aspettare, ma stranamente lì nasceva e lì moriva.
Con la sua brava sigla “C1” dipinta sul lato anteriore del rialzo del tetto, il 900T iniziò quindi la sua carriera operativa: servizi ordinari, prima di tutto, ma anche le urgenze, come è prassi in certe zone di Genova – molte, in verità – dove è necessario per prima cosa arrivare sul posto: e non si parla, qui, di arrivare sani e salvi, che questo è scontato; ci si riferisce invece al riuscire a percorrere fisicamente certi carruggi, certi vicoli che fanno tremare i polsi mentre chiudi gli specchietti e speri e preghi di non lasciare un paio di metri di fiancata su qualche sporgenza o strettoia. Insomma, da quel giorno la C1 si guadagnò sul campo (anche) i galloni di ambulanza di emergenza, soccorse migliaia di persone, nell’arco degli anni cambiò la sigla da C1 a 74 ( questo in virtù della normativa regionale che vuole l’identificazione delle ambulanze con i 2 ultimi numeri di targa), aggiornò la livrea – e la banda arancio prima sparì del tutto, poi fu riapplicata sull’intero perimetro del mezzo ed anche sul tetto rialzato (senza essere però rimessa sul muso!) – , perse le splendide scritte sulle portiere sostituite da uno stemma più moderno, il brandeggiabile originale fu spostato dietro alla fischio e poi fu cambiato con un più comune faro di ricerca con il bordo gommato, che però ritornò davanti alla sirena. Si ritrovò anche applicata la scritta AMBULANZA ( in secondo momento inclinata a sinistra) sul muso dove, per farle spazio, si tolse il logo romboidale Fiat : questo venne piazzato sopra la finta mascherina, sulla sinistra.
E sui vetri posteriori, aggiornamento per aggiornamento, eccola là, la croce a sei braccia, nel frattempo assurta a simbolo internazionale del soccorso.
Insomma, fin qui né più né meno quello che normalmente accade a tutti i mezzi nell’arco della vita operativa; aggiornamenti e lifting sono necessari sia per mantenere i mezzi al passo con i tempi, sia per ovviare a incidenti di percorso, sia anche soltanto per un puro e semplice aggiornamento estetico. Come è naturale, piano piano i km crebbero, nuove macchine entrarono a far parte del parco relegando le più vecchie al ruolo di comprimarie.
E gli anni, impietosi, si portarono dietro qualche acciacco. Infine, arrivò il pensionamento: del resto, nulla è eterno, men che meno le ambulanze. Piaccia o no, questa, a ben vedere, è la norma, funziona così da sempre: “è il progresso ragazzi! E poi c’è la macchina nuova, guardate come è bella…”. Sì, è vero. Ci mancherebbe. Pazienza per la vecchia unità, non c’è più spazio per lei, e allora…si venda e si realizzi quel che c’è da realizzare, senza pensarci più, o si regali a qualcuno che ancora possa valorizzarla. La “nostra” è in effetti oggetto di una donazione: radiata dalla sede centrale, inizia la seconda vita operativa ad inizio anni ’90 presso la sezione estiva di Cassingheno, insieme ad un VW T3, dove rimane – possiamo immaginare in piena serenità, visto che il paese conta appena 46 abitanti, esclusi i turisti – fino all’avvento del 118, cioè intorno al Luglio del 1996.
A quel punto la sorte sembra segnata, il mezzo ha la bella età di 17 anni e viene messo da parte in una cascina – ed abbiamo così la seconda radiazione dal servizio – e pare destinato alla rottamazione.
Che però, chissà come mai, non viene in effetti fatta, e la 74 resta lì, ferma e dimenticata, per ben oltre 10 anni ancora. Ma ricordate cosa dicevamo? La faccenda degli amori che fanno giri strani eccetera? Ebbene, a qualcuno quella piccola ambulanza è rimasta nel cuore: magari ci ha fatto il primo servizio; oppure la vedeva passare tutti i giorni e questo fa scattare la molla della nostalgia; chissà, questo non lo sappiamo, ma sta di fatto che un bel giorno quel qualcuno la vede, la riconosce. Torna in sede, parla con il Presidente del ritrovamento, coinvolge, stimola e riesce a convincere la dirigenza a riprendere la vecchia 74. Si mette in moto la…macchina dei soccorsi: carro attrezzi, ipotesi di restauro concordata in linea di massima con un allestitore, pacche sulle spalle e ….tutto bene? No, nemmeno per sogno, troppo facile.
La fattibilità del restauro per mille ragioni sfuma, il mezzo – che nel frattempo era stato portato da un carrozziere di Cicagna, che aveva fatto in tempo solo a montare delle portiere usate, color senape – in attesa degli eventi la accantona in un campo che di certo non aiuta la conservazione: ma il riparatore ovviamente deve lavorare e non può permettersi di tenere al coperto un rottame, il cui destino per la seconda volta appare segnato, e lasciare fuori i veicoli dei clienti.
Passano così altri due anni e mezzo; all’aperto. Dura, per un mezzo vecchio.
Ma nella sfortuna, l’essere rimasta fuori e quindi visibile si rivela invece un elemento positivo. Infatti, nel 2015 qualcuno rivede la “74” e riprende il discorso del suo (secondo)salvataggio. Nuovo recupero, ancora un ricovero in officina (l’officina Solaini di Via Bobbio a Genova), altra ricerca di amici disposti a collaborare, di documentazione e testimonianze d’epoca e poi via! Si parte con il restauro, che dovrà riportare la macchina esattamente al giorno in cui fu consegnata. E stavolta è davvero la volta buona.